Sono la pecora numero settantadue. Lo so con certezza perché questo è il numero dipinto con la vernice sul mio posteriore. Per facilitarsi il compito di contare le pecore, il pastore ha scritto un numero sul dorso di ogni pecora. Così so anche che siamo in cento.
La numero cento è una pecora che stilla boria da ogni ricciolo di lana. Credo abbia il numero cento solo perché è quella con il di dietro più grosso.
Ma io sono la settantadue. Significa che non sono tra le prime quando il gregge si muove, né sono tra le ultime. Sto in mezzo, affogata nella mediocrità assoluta. In realtà non sono nessuno. Sono sfruttata, come le altre: portano via la lana, il latte e anche gli agnellini. Sono un animale. Servo a produrre e basta. Ho lo stesso valore dello steccato dell’ovile.
Nessuno si accorge davvero di me. Per questo ho deciso di sparire. Me ne sono andata di notte. Prima che il pastore se ne rendesse conto, ero lontana.
In quei primi momenti ero ubriaca di felicità. Saltellavo tra le rocce, mangiavo solo l’erba più tenera, dove volevo e quando volevo. Bevevo ai ruscelli quando mi pareva, riposavo all’ombra quando ne avevo voglia. Lana, latte, agnellini tutto sarebbe stato mio. Io esistevo finalmente!
Per due notti solo le stelle hanno vegliato il mio sonno. Che bisogno c’è di un pastore?
Ma questa sera l’ho sentito. Ho sentito la sua presenza, il suo odore, il tonfo felpato dei suoi passi. Il lupo è qui vicino.
Mi sono rannicchiata tra questi due massi. Non riuscirei a scappare. Non so correre. Gli occhi del lupo brillano più delle stelle e la sua lingua fiammeggia fra le zanne scintillanti. Tra poco sarà finita.
Ma….. Due mani callose mi strappano al mio miserabile rifugio, due grosse mani d’uomo che conosco bene. Il pastore è venuto! E’ venuto proprio per me!
“Finalmente ti ho trovata! Torniamo a casa: Mi sei mancata “Settantadue”.